Le indagini sul duplice omicidio a colpi di kalashnikov sono state già avocate dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro

Dead man walking, ovverosia uomo morto che cammina. L’uomo nei cui confronti la ‘ndrangheta aveva emesso la sua inappellabile sentenza di condanna, a morte appunto, era Pietro Greco, 49 anni, originario di Castrovillari ma oramai stanziale a Sibari, la cui aspirazione da “boss” è stata fatta saltare per bocca del fuoco e del piombo con cui hanno parlato i boss della Sibaritide e del Pollino, quelli veri, quelli intoccabili, quelli che comandano i ricchissimi affari illeciti di questo grande ed opulento comprensorio decidendo finanche chi deve vivere e chi deve morire. Pietro Greco doveva morire. E così è stato.

Doveva pagare lo sgarro dell’essere da qualche tempo recalcitrante nel proprio “dovere” di versare i profitti realizzati con le proprie attività di traffico di droga e di gestione d’un supposto vorticoso giro d’usura alla “bacinella” comune del locale di ‘ndrangheta, che secondo i dettami dei capi è uno e indivisibile. LEGGI ARTICOLO COMPLETO

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