Satriano: possa gemmare ciò che ha riversato in noi. Mascaro: cultura cemento Città Unica
CORIGLIANO ROSSANO – Siamo tutti in lutto perché il Preside Giovanni SAPIA apparteneva a ROSSANO oltre che alla sua famiglia. Come Chiesa Diocesana gli siamo grati:  se il Codex è oggi patrimonio UNESCO dell’Umanità lo dobbiamo a Lui. Il Professor SAPIA non se ne va. Il nostro augurio è possa gemmare nelle nostre menti e nei nostri cuori quello che ha riversato. Ora non lasciamo morire, non tanto la sua memoria personale, ma il succo vitale di quello che Egli ha rappresentato per il nostro territorio.

 

 

 

Sono, questi, alcuni dei passaggi più emozionanti del saluto che Mons.Giuseppe SATRIANO, Vescovo della diocesi CORIGLIANO ROSSANO – CARIATI ha voluto rendere al compianto Preside SAPIA spentosi ieri, venerdì 1° giugno. I funerali, celebrati da Don Pino STRAFACE nella Chiesa di SAN BERNARDINO, sono seguiti alla camera ardente allestita per l’occasione nella sala consiliare come deliberato dal commissario prefettizio, il prefetto Domenico BAGNATO.
 
Senza la cultura non potrà nascere ed affermarsi la nuova grande Città CORIGLIANO ROSSANO. È, questo, il messaggio più importante che ci lascia in eredità Giovanni SAPIA, un gigante, per tutti un secondo padre, tra i più grandi ambasciatori di questa città e di questa terra. – È stato, questo, uno dei passaggi principali dell’intervento di Stefano MASCARO, Sindaco dell’originaria Città di ROSSANO, intervenuto a nome del commissario prefettizio, il prefetto Domenico BAGNATO.   
 
Alla presenza, tra gli altri, del sub commissario Michele LIZZANO, sono intervenuti per la famiglia, il professor Gianfrancesco SAPIA, gli studenti e la dirigente del Liceo Classico SAN NILO, Adriana GRISPO, il Preside Gennaro MERCOGLIANO (allegato intervento integrale). –
 
 
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MERCOGLIANO: CON SAPIA SE NE VA UN SECOLO DI STORIA
SALUTO VICEDIRETTORE UNIVERSITÀ POPOLARE GENNARO MERCOGLIANO
 
PLATONE fa dire a SOCRATE morente, nel FEDONE, che i cigni vicini a morire si producono in un canto “faulotero”, l’ultimo, il più sublime della loro candida vita. a questo io penso spesso quando sono e cogito sul destino dell’anima. A questo ho pensato l’altro ieri, l’ultima volta che andai a trovare il mio maestro, il mio preside, il mio presidente. Leggeva e correggeva suoi scritti e penso che in quelle ore egli vi avrà apposto l’aggiunta più bella e importante. Quella che lega cioè, il lavoro letterario al fatale destino di ogni vita. come se la letteratura fosse stata veramente la sola compagna di quella esistenza , la eclettica consorte dei propri giorni. Ed egli mi parve voler ripetere a me i versi del poeta che più amo senza rinnegare la poesia della vita, l’amore, l’amicizia, la consuetudine dei bei conversari: “unire la mia sorte alla tua sorte / per sempre, in questa casa centenaria!/ ah! Con te, mia dolce piccola consorte / vivace trasparente come l’aria /rinnegherei la fede letteraria / che fa la vita simile alla morte”.
 
Mi colsi come sempre all’indietro andandomene. Mi aveva già affidato ogni cosa, poi mi rivolse un sorriso “faulotero”, più dolce del solito, e, assentendo col capo, mi fece cenno di procedere sicuro e spedito nell’imminente lavoro dell’Università Popolare, che da oggi porterà anche il suo nome. Quando si ha coscienza della propria grandezza forse si ha anche il diritto di difendere un primato. Giovanni SAPIA, questo lo ha fatto, donandosi alla scuola, alla Città, ai giovani (cuore del suo cuore); donandosi a noi tutto intero e concedendo generosamente agli altri forse più del dovuto. Tanto più alto è il seggio dal quale fatalmente rovina la grandezza, tanto più amara è la consapevolezza della nostra miseria, del nostro essere nulla. La cultura cresce e rovina sul suo stesso edificio, e quando ce ne andiamo si perde anche il frutto di fatiche magnanime.
 
SAPIA amava FOSCOLO quanto CARDUCCI. Leggeva in quei grandi poeti della classicità la forte rivendicazione del valore della toma secondo moduli e stilemi a lui tanto cari da rifarli nei suoi versi forbiti: “io la voglio”, la tomba, diceva, poiché “giusta di gloria dispensiera è morte”. Leggeva in Verga il tragico destino dei vinti e si adoperò, senza risparmio, per sollevarne la miseria, per cercare una strada che andasse oltre la negazione della Provvidenza.
 
“La certezza è nel dubbio”, disse in una delle sue allocuzioni più intense. Così la sua vita fu la ricerca dell’ineffabile dentro le potenzialità della parola, la conferma della fede  dentro la speranza dello scritto letterariamente impeccabile, perfetto. Il liceo fu palestra di vita e di riscatto.  A un gradino superiore, intermedio rispetto all’impegno accademico, svolse insieme a noi, per quarantenni, l’azione, umile e alta, dell’Università Popolare.
 
Come l’imperatore Adriano Giovanni SAPIA è entrato nella morte ad occhi aperti, accarezzando l’anima nell’estremo sussulto vitale, rifacendo l’ultimo dire, giocoso e poetico, di quel principe umanista: Animula vagula blandula / hospes comesque corporis / quae nunc abibis in loca /pallidula, rigida, nudula, /nec, ut soles dabis amores”.
 
Amore non gioco fu la vita sua. Ed è l’unica emendatio che mi son permesso di apportare al canto dilettoso e tragico di Adriano, reso due volte immortale dalla sintonica essenza estetica del grande romanzo di Marguerite YOURCENAR.
 
Con Giovanni SAPIA se ne va un secolo della nostra storia e della nostra cultura. in un eccesso di amore, pensoso severo indulgente, se ne vanno anche sessant’anno della nostra vita e di civile sodalizio. “Virtus splendet…Gloria portus est!”.
 

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